benefici psicologici di vivere con un cane psicoterapia roma prati 30 Ago 2021

BY: admin

Psicologia

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Adottare un animale domestico, in particolare un cane, di qualsiasi razza o taglia, richiede un grande impegno. Occorre investire non soltanto denaro (cibo, visite veterinarie e cure, giochi etc.) ma anche in termini di tempo e attenzione, organizzare la propria vita in base a esigenze nuove e anche a eventuali limitazioni imposte dall’avere con sé un animale. Pensiamo, per esempio, a quando si programma un viaggio e ci si deve occupare di trovare località in cui il proprio cane sia ben accolto.

Eppure, nonostante l’ingente impegno richiesto, la consuetudine di vivere con un cane risulta comunque molto diffusa. È evidente che condividere la propria casa con un animale domestico, farlo entrare nella propria famiglia e nella propria quotidianità deve portare con sé dei vantaggi maggiori di tutte queste incombenze. Vantaggi che le persone spesso percepiscono, ma in modo inconscio, non chiaro.

Questo articolo ha proprio lo scopo di far luce sugli enormi benefici psicologici di avere in casa un animale domestico e, soprattutto, un cane.

Il cane e la comunicazione non verbale

La comunicazione che si instaura con il cane è di tipo non verbale.

Ciò significa che più che dar peso alle nostre parole, il cane presta attenzione a un’altra serie di segnali come l’espressione del viso, i gesti, il tono della voce, la postura del nostro corpo. Tutti elementi che gli permettono di capire le nostre emozioni e intenzioni.

Per questo motivo, il cane sfugge completamente alla trappola del doppio legame (double bind), quella situazione in cui si crea una discrepanza tra ciò che viene comunicato sul piano verbale e il messaggio che viene lanciato sul piano non verbale. Abbiamo già parlato della teoria del doppio legame elaborata da Gregory Bateson nell’articolo dedicato alla lettura psicologica de l’Avversario, interessante romanzo di Emmanuel Carrére.

Il cane, proprio per la sua natura, non rimane invischiato nel meccanismo del doppio legame poiché è in grado di amplificare a dismisura il solo lato non verbale della comunicazione, focalizzandosi esclusivamente su quello, tenendo fuori incongruenze e contraddizioni che si creano in quel tipo di situazione.

In questo modo, l’animale può aiutare la famiglia che lo accoglie e lo rende parte di sé, indirizzandola a tenere in maggior considerazione gli aspetti non verbali della comunicazione.

Il dottor Simone Ordine in compagnia di Maya, il suo cane, un Lagotto Romagnolo

Il cane domestico, il transfert e le proiezioni all’interno della famiglia

Ecco un altro vantaggio psicologico dell’avere un cane in casa: il cane riesce a rallentare i processi di transfert che si vivono all’interno della famiglia.

Accade spesso che in famiglia si inneschino delle dinamiche dannose che hanno a che fare con la proiezione e con l’identificazione proiettiva. Che significa? In buona sostanza, accade che un membro della famiglia, che si tratti del partner o di un genitore, può manifestare la tendenza a proiettare sull’altro il proprio vissuto, esperienze del proprio passato che non hanno a che fare con il coniuge o il figlio. Questi, però, a forza di essere usato come contenitore di quella proiezione, finisce con l’identificarsi con essa.

Di conseguenza, la proiezione – che è fantasia ed esperienza del passato – diventa realtà presente e operante. Questo limita fortemente la libertà di pensiero e percezione relazionale poiché la logica del passato va a sovrapporsi al presente, lo ingloba, gli si sostituisce.

Il cane, però, è libero da transfert, non si identifica nelle tue proiezioni nello stare con te.

Il cane offre un’alternativa, uno spazio di presente.

Facciamo alcuni esempi.

In alcune famiglie può esserci uno schema adultocentrico, per il quale vengono prima il benessere dell’adulto e i suoi diritti, mentre il bambino viene messo all’ultimo posto, ignorato nei suoi bisogni e nelle sue richieste, modellato secondo i desideri del genitore. L’investimento emotivo e il tempo per lui sono estremamente ridotti.

Il cane, però, non soggiace a questo schema.

Come osservato negli studi psicoterapeutico-etologici del dottor Andrea Vitale, il maltrattamento nei confronti della prole è un comportamento tipicamente umano, mai visto negli animali. L’essere umano, a differenza degli animali, può deviare dall’istinto che guida le altre creature viventi. Di conseguenza, l’animale domestico, più vicino alla saggezza della natura, non sposa lo schema adultocentrico. Esso, anzi, dà grande attenzione al bambino, andando contro la logica patologica dell’adultocentrismo.

Un altro esempio è rappresentato dal mandato familiare dell’amore condizionato. Secondo questa logica, l’amore verso il partner o il figlio dipende dal suo adeguamento a un modello, dal riuscire a saturare un’aspettativa. Il cane rompe questo schema perché ama in modo incondizionato, senza chiedere nulla in cambio.

Anche se all’interno della famiglia esistono determinati mandati, certi valori, certe leggi non scritte che possono essere più o meno rigide e patologiche, il cane non è predisposto ad assorbire questo tipo di schemi, non subisce queste logiche e così aiuta la famiglia a sottrarsene a sua volta.

Franesca Romana Moscato cane pastore maremmano

La dottoressa Francesca Romana Moscato in compagnia di Lillo, un Pastore Maremmano

“A che gioco giochiamo”: il cane e i giochi di ruolo all’interno della famiglia

Il cane gioca ma non ai giochi descritti dallo psicologo canadese Eric Berne nel suo famoso libro “A che gioco giochiamo”, pilastro di quella particolare tipologia di psicoterapia che va sotto il nome di analisi transazionale.

La maggior parte della mancanza di autenticità e del disagio che si riscontrano all’interno delle famiglie deriva dall’instaurarsi di dinamiche relazionali basate sulla manipolazione tra i membri del nucleo familiare. Genitori e figli, fratello e sorella, marito e moglie. Eric Berne chiama queste dinamiche “giochi” e mette in evidenza come tutti gli attori, sia chi mette in atto la manipolazione, sia chi la subisce, siano ignari di quanto accade poiché il tutto avviene in modo inconscio.

Sono come dei rituali che seguono uno specifico pattern, quasi un copione predisposto e che, di conseguenza, rompono l’armonia di una comunicazione autentica.

Si tratta “giochi” molto conosciuti, dotati di nomi specifici che ne sintetizzano il contenuto: “Occupatissima”, “Le spalle al muro” “Perché no…sì ma”

Nel “Perché no…sì ma”, un soggetto portatore di una problema o un disagio sembra chiedere aiuto dai membri della comunità o della famiglia, che si mettono a disposizione per trovare delle soluzioni. Il soggetto ascolta le proposte, tuttavia ogni volta con il “ma” demolisce la possibilità che gli viene offerta.

Il vantaggio secondario del gioco “Perché no… sì ma” è relativo al fatto di poter stare al centro dell’attenzione della famiglia, avendo un controllo sulle persone che sono assorbite dal problema presentato. Tutti smettono di preoccuparsi delle proprie questioni per dare aiuto al soggetto che ha bisogno. La persona che gioca al “Perché no…sì ma” si trova così in una posizione privilegiata, alla quale non vuole rinunciare e per questo non rompe mai lo schema. Quel “Ma”, che oppone alle soluzioni che gli vengono proposte, fa sentire gli altri continuamente inadeguati, impotenti, incapaci. Gli altri membri della famiglia ne escono sempre sconfitti e sviliti, non riescono mai a capire. Mentre chi gioca il “sì ma” si sente quasi un eroe, perché affronta una situazione che nessuno è in grado di risolvere.

Ecco, il cane non si presta a questo gioco, non ne rimane intrappolato. Lui ti dà attenzioni senza bisogno di ingabbiarlo in simili giochi che si fondano su una manipolazione e che danno vita a una relazione inautentica.

Questi giochi descritti e analizzati da Eric Berne nel suo libro, infatti, sono tipicamente umani. Hanno a che fare con schemi cognitivi propri degli uomini e delle donne, a cui il cane è del tutto immune. Ciò significa che l’animale, ancora una volta, sfugge agli schemi precostituiti e non si lascia coinvolgere in questo tipo di logica, aiutando la famiglia a trovare uno spazio di libertà rispetto a determinati giochi di ruolo patologici.

Il cane li rallenta e disinnesca.

Il cane come maestro zen, portatore di presente

 

Nel libro “Il potere di Adesso” di Ekhart Tolle, l’autore mette in luce come il cane sia un portatore di presente. Quest’animale non è dominato dalla mente ma dall’istinto, vive pienamente nel qui e ora, senza lasciarsi condizionare dall’ombra del passato o dal pensiero angoscioso del futuro. Il cane è come un grande maestro zen, che porta il suo insegnamento non con la parola ma con il proprio esempio, aiutando gli esseri umani che gli sono vicino ad affrontare la vita in modo diverso.

Pensiamo a una situazione tipica. Il giorno prima, c’è stata una litigata tra i due coniugi, sono volate parole aspre di rimprovero. Quando ci si siede a tavola, si rimugina su quel che è accaduto, magari un silenzio grava sulle teste di tutti. Si vive nella tensione del giorno precedente.

Il passato incombe e appesantisce tutto.

Ecco, però, che entra in scena in cane scodinzolando, con la sua spensieratezza e allegria, prende la pallina, vuole giocare. Il suo comportamento spontaneo alleggerisce la situazione, porta con sé una ventata di presente, rompe la logica per la quale la famiglia è ancorata al passato oppure impedisce che sia risucchiata verso il futuro, nel caso in cui il motivo della sofferenza sia collocato nel domani.

Inoltre, il cane ci permette di portare alla luce la parte meno razionale, più pulsionale di noi stessi, che è una parte sana. Ci permette di entrare in contatto con elementi vitali, istintuali, che spesso, in una vita che tende a essere alienata, vengono dimenticati o repressi perché considerati inaccettabili.

Il cane, in quanto animale, ci aiuta a ritrovare la nostra parte animale.

Il cane e il tema della morte e del lutto in famiglia

Ultimo ma non meno importante: avere un cane in casa ci permette di entrare in contatto con il tema della morte.

Anche un esperto del settore come il dottor Andrea Tiziano DI Francesco, responsabile dell’area di chirurgia, neurochirurgia e ortopedia della clinica veterinaria Croce Azzurra di Roma (zona Eur Torrino), nel corso del proprio lavoro, ha modo di rendersi conto come molto spesso la malattia, l’handicap o la morte del cane non siano soltanto un elemento doloroso, ma anche un’opportunità per la famiglia per contattare elementi esistenziali ed elaborare i temi connessi alla morte in modo costruttivo.

In particolare, avere un cane, amarlo e vederlo concludere i propri giorni può essere molto importante per un bambino, che ha modo di vedere un componente della propria famiglia che nasce e muore, di capire che la vita ha un inizio e una fine, facendo esperienza del lutto e di quegli elementi esistenziali che gli permetteranno di elaborarlo in modo sano.

Allo stesso tempo, il cane è maestro di vita e di morte poiché questa creatura insegna anche come morire. Il cane non si aggrappa all’esistenza, non reagisce, non si aggrappa forsennatamente all’esistenza ma fluisce insieme a essa e accetta l’arrivo dell’ultimo giorno come solo un grande saggio saprebbe fare.

 

Resistenze agli elementi terapeutici del cane: il maltrattamento, l’abbandono e altri meccanismi psicologici

Per tutti questi motivi, vivere con un cane è fortemente terapeutico. L’animale domestico, infatti, costituisce un varco per contattare gli elementi terapeutici e ci consente, in tal modo, di raggiungere un maggiore benessere psicologico.

Come tutto ciò che è terapeutico, però, di fronte all’animale possono crearsi delle resistenze più o meno forti. Si innescano dei meccanismi di difesa che inducono a mettere in atto alcuni comportamenti.

Prendiamo il caso di persone che, in qualche modo, percepiscono il fatto che il cane sia in grado di farli stare meglio, ma hanno difficoltà a entrare in contatto con gli elementi terapeutici di cui si fa portatore. Riescono a vedere il varco, ma non ad attraversarlo.

In una situazione del genere, può verificarsi una sorta di ossessione.

Come evidenziato dal dottor Simone Ordine, chi vive questa situazione può rimanere preda di una trappola mentale molto particolare, che consiste nel cercare di risolvere un problema interiore attraverso un’operazione concreta. Invece di attraversare il varco che gli viene offerto dal cane e di accogliere gli elementi terapeutici di cui si fa portatore, cerca altri varchi. Così, ci troviamo di fronte a persone che, in appartamenti anche molto piccoli, adottano 3,4, 5 cani. Moltiplicano le possibilità, sostituiscono la quantità alla qualità, senza riuscire a beneficiarne davvero.

Anche un altro fenomeno può essere ricondotto a questa impossibilità di tollerare gli elementi terapeutici legati all’animale. Spesso i proprietari di animali domestici manifestano un’intensa preoccupazione riguardo lo stato di salute del proprio cane o del proprio gatto. Questa preoccupazione certamente riflette l’amore e l’attaccamento per l’animale. Allo stesso tempo, però, quando è eccessiva può derivare dal fatto che la persona proietta sull’animale il proprio timore di non riuscire a entrare in contatto con gli elementi terapeutici. Avviene uno spostamento dal piano interiore al piano concreto.

La persona sente che l’animale è una chiamata a prendersi cura di sé stesso ma non riesce a seguirla e, di conseguenza, la proietta in modo nevrotico sull’animale, preoccupandosi in modo esagerato per la sua salute.

Tirando le somme, potremmo dire, al contempo, che chi sceglie di abbandonare il proprio animale domestico o lo maltratta, è dominato dal proprio corpo di dolore e non è in grado di tollerare degli elementi terapeutici. Così come chi va in terapia può manifestare delle forti resistenze alla terapia stessa, mettendo in atto una serie di meccanismi di difesa, arrivando anche ad abbandonare il percorso appena cominciato, così chi abbandona il cane manifesta una resistenza rispetto alla possibilità di attraversare quei varchi che l’animale è in grado di aprirgli.

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